
Racconti
Il Dono
Lei si era chiusa nello studio, disse di avere del lavoro da finire e non voleva essere disturbata. Ultimamente si comportava così di sovente e questa cosa mi rattristava, soprattutto quando accadeva di domenica. Avevamo avuto delle discussioni qualche mese fa, su questioni apparentemente di lieve importanza, ma di cui comprendevo le mie responsabilità a sottovalutarne i risvolti e di cui, successivamente, mi lamentavo di certe reazioni, per così dire, eccessive da parte sua. Non era nulla di così importante, almeno a me sembrava, mi diceva che non tollerava alcuni miei atteggiamenti in certe situazioni, in presenza di alcuni amici o parenti. La questione sollevata mi era apparsa alquanto esagerata, nonostante riconoscessi alcune mie tendenze un po' fuori le righe, ma era il mio modo di fare. Comprendo che, dopo quattro anni di convivenza, ci si vedeva in modo diverso e un po' di logoramento nel rapporto ci poteva stare, ma credevo che una simile reazione sia stata spropositata, solo per questo mi sentivo avvilito. Decisi di uscire fuori casa per una passeggiata, dell'aria fresca mi avrebbe fatto sicuramente bene. «Cara esco a fare quattro passi, porto Lady con me.» Gli annunciai da dietro la porta chiusa dello studio. «Si, va bene...fa come vuoi.» Rispose con tono distratto. Lady era la nostra border collie di due anni e mezzo, il mio regalo per il suo compleanno di due anni prima. Appena prendevo in mano il guinzaglio, lei era subito davanti la porta di casa, pronta per uscire; non so come facesse. Accadeva anche quando si trovava nelle altre stanze ed ero fuori portata dalla sua vista. Sarà il sesto senso canino? Scendendo le scale di casa, chiamai al telefono il mio amico: occupato. Pazienza, riproverò più tardi. Passeggiare mi piace, con lei lo faccio spesso insieme a Lady, avendo un cane le occasioni per uscire non mancavano mai, in qualsiasi stagione. Il mattino era caldo, ma non afoso. Volevo portarla al parco, così poteva giocare con gli altri cani, ma poi avrei dovuto intrattenermi a chiaccherare con i loro padroni dei soliti discorsi: sport, politica, malattie e cibo per cani. I loro animali erano meno noiosi. Mi diressi verso il centro del paese, a quell'ora non c'era molta gente, erano ancora tutti a dormire o a messa. A passo lento, imboccai un vicolo stretto, dove due persone ci passavano a mala pena, da qui si scendeva e poi si risaliva verso la piazza della chiesa. La piazza era semivuota: un passante distratto con il giornale sottobraccio e qualche avventore nel bar seduto ai tavoli per la colazione. Evitavo le strade principali, trafficate anche dalle auto, e proseguimmo attraverso le viuzze che salgono o scendono. Lady era attratta da ogni palo, albero o angolo di casa, distratta dagli odori che avevano lasciato altri suoi simili, interrompendo così il nostro lento cammino. Lasciai a lei la libertà di condurmi, tanto non avevo una meta precisa, solo il piacere di camminare in tranquillità. Anche i miei pensieri mi portavano altrove, nella mia mente si alternavano vari scenari della mia vita con Lei, tra positivi e negativi. Una parte di me voleva far valere le proprie ragioni, mentre l'altra avrebbe voluto correre ad abbracciarla chiedendole perdono. «Lady!...che fai!» Esclamai verso il cane che si era fermata bruscamente, dandomi uno strattone. Forse, mi ero distratto un po' troppo e non mi ero accorto che Lady, assetata, aveva approfittato di una ciotola piena d'acqua messa dal proprietario fuori dal suo negozio, per dissetarsi. Alcuni negozianti, amanti degli animali o solo per rendersi simpatici agli occhi dei loro padroni, usano fare questa gentilezza. «E' proprio un bel cane! Come si chiama?» Mi domandò un signore apparso sulla soglia del negozio. Era un signore anziano vestito con un completo grigio dalla foggia antica, con gilet dello stesso colore, una camicia bianca e una cravatta con piccoli indecifrabili disegni di colore blu. La testa calva, salvo due ciuffi di capelli bianchi che gli spuntavano ai lati della testa, che lo facevano sembrare un... pagliaccio, come quelli del circo. Sulla punta del naso adunco, un paio di lenti spesse tenute assieme da una leggera montatura metallica. Mi accorsi di essere rimasto a fissarlo, un personaggio simile l'avevo visto solo in qualche film. «Ah si, il cane...si chiama Lady.» Risposi, dopo essermi ripreso dallo stupore. Lui, si chinò sul cane e l'accarezzò amorevolmente dicendogli parole affettuose. In modo inconsueto lei lo lasciò fare senza ritrarsi. Strano di solito non era tanto di coccole, ma appena qualcuno si avvicinava, si poneva immediatamente in posizione di gioco. «Non pensavo che ci fosse una libreria in questa via.» Gli domandai, mentre con lo sguardo spiavo all'interno del negozio. «Esiste dal 1927, prima era di mio padre.» Rispose con orgoglio e malinconia, mentre si rialzava. «Vuole entrare a dare un'occhiata?» Aggiunse. «Volentieri...ma il cane?» Chiesi educatamente. «Non si preoccupi, lo lasci pure qui. Attacchi il guinzaglio ad uno di questi ganci, li ho messi apposta.» Rispose. La libreria era composta da due soli locali, non molto ampi, uno conseguente all'altro. I libri erano disposti su scaffali in legno che arrivano quasi al soffitto su tutte le pareti delle stanze. Al centro due tavoli in legno bassi con pile di libri, le stesse pile erano in qualche angolo delle stanze. Non sembrava esserci un certo ordine, ma l'insieme aveva una certa armonia con l'ambiente, i mobili e gli stessi libri che trovavano il proprio ordine dove sembrava che non ci fosse. Anche il suo proprietario sembrava in armonia con il tutto. Mi guardavo intorno, mentre il signore mi raccontava la storia e gli aneddoti della sua libreria. «Gli piace qualche genere in particolare?» Mi Domandò inaspettatamente. «Come?...Ah genere letterario...ma non saprei, forse romanzi?» Risposi con un po' d'indecisione. «La vedo distratto, c'è qualcosa che la turba caro signore?» Mi domandò con sospetto.. «No, nulla in particolare, solo un po' di stanchezza...sarà il troppo lavoro di questo periodo.» Risposi con un certo imbarazzo. Mi fissò con i suoi piccoli occhi scuri da sopra gli occhiali con aria interrogatrice. Si voltò e borbottando qualcosa, di cui non capii le parole, si diresse nell'altra stanza e iniziò a cercare qualcosa in mezzo alle pile di libri poste sul tavolo. Lo lasciai fare e mi voltai a curiosare verso lo scaffale alle mie spalle, con una serie di libri dai dorsi di vari colori. Sembravano libri più attuali, si capiva dalle rilegature e dai temi delle copertine. Mi interrogavo se fosse stato corretto e cortese acquistare almeno un libro, vista la cordialità e gentilezza del libraio. Iniziai a cercare qualcosa che potesse piacere a Lei: presentandomi con un regalo gli avrebbe fatto piacere e, forse, più ammorbidita nei miei riguardi. L'idea mi sembrò buona, ma quale libro? Mi lasciai ispirare dalle copertine e dai titoli, ma mi venne il sospetto che forse stavo guardando nello scaffale sbagliato. «Quella è letteratura erotica...provi a guardare sullo scaffale di fronte.» Esclamò una voce proveniente dalla stanza attigua. Ringraziai con un po' d'imbarazzo e mi diressi dove la voce mi aveva indicato. In effetti, tale genere letterario, non penso possa essere quello più adatto a lei, o almeno credo. Ecco, qui c'era di sicuro qualcosa che poteva piacergli: “avventure e viaggi”, leggevo da una consunta etichetta scritta a mano e incollata sul ripiano in alto. Lessi qualche titolo sui dorsi dei libri. Iniziai a estrarne qualcuno che mi ispirava di più e a leggerne la quarta di copertina per comprenderne il genere e il tema. Nella mano sinistra tenevo quelli che potevano essere i candidati migliori, mentre gli altri tornavano al loro posto. Alla fine restai con solo due libri nella mia mano. Infine scelsi questo: “Senza mai arrivare in cima” di Paolo Cognetti. Questo non dovrebbe averlo letto. Appena il tempo di riporre l'altro libro nello scaffale e a voltarmi, con la mia trionfale scelta, che mi venne incontro il libraio con qualcosa tra le mani. «Trovato qualcosa d'interessante?» Mi chiese sorridendo. «Si, questo...non è per me, è un regalo.» Risposi porgendogli il libro con fierezza. «Ah, bello...gli piace la montagna alla persona che lo avrà in dono?» Domandò. «Si, una volta mi ha parlato di questo libro.» Risposi con una improbabile sicurezza, non sapendo come giustificare la mia scelta. Si diresse verso una sorta di baldacchino su cui era appoggiato un vecchio registratore di cassa. Era così vecchio che dubito fosse ancora a norma. Con il dito indice, batté più volte sui tasti e una striscia di carta fuoriuscì dalla fessura in alto. «Sono 14 euro.» Mi disse porgendomi lo scontrino. Prontamente infilai la mano nella tasca posteriore dei pantaloni e presi il portafoglio, lo aprii e gli diedi le banconote da 10 e 5 euro, dicendogli: «Ecco a lei, tenga pure il resto.» Lui mi guardò un po' stupito, poi si mise a cercare con le dita negli scomparti della cassa e mi porse due monete da 50 centesimi, borbottando: «Mi ha preso per un cameriere..? Tenga il resto.» Allungai la mia mano timidamente verso la sua, facendomi cadere le monete nel palmo della mano. Il libraio prese il libro che aveva appoggiato poco prima a lato della cassa e me lo porse con le due mani. Aveva la copertina completamente bianca con raffigurato al centro una ciotola nera con delle decorazioni in oro, al centro, una parola in altra lingua, che non compresi. «Kintsugi. E' una parola giapponese.» Disse. «L'arte segreta di riparare la vita.» Lessi sotto il titolo. «Questo è il mio regalo per lei...lo prenda.» Disse con tono amichevole e cordiale. Presi il libro con entrambe le mani, come se fosse una reliquia sacra. Lo capovolsi e lessi la quarta di copertina, c'era scritto: “Imparare a rispettare ciò che è danneggiato, fragile, e imperfetto. Cominciando da te stesso”. Guardai il libraio che mi fissava dal basso verso l'alto con i suoi piccoli occhi indagatori, con quel suo sorriso appena accennato. In altre situazioni non lo avrei accettato e insistito per volerlo pagare, ma l'unica parola che uscì dalla mia bocca è stata: «Grazie.» Prese i due libri e lo scontrino e li infilò dentro un sacchetto di carta e me lo consegnò dicendo: «Non mi chieda di farle il pacchetto del suo regalo, i libri non s'incartano mai.» Mi accompagnò fin sulla porta, raggiungemmo Lady che intanto sonnecchiava sdraiata comodamente sul marciapiede. Appena ci sentì scattò in piedi, subito pronta a riprendere la passeggiata. Un ultimo saluto del libraio al cane e un cenno fra di noi con la mano. Gli augurai: «Buona giornata e...grazie.» «Buona giornata anche a lei.» Rispose con il sorriso appena accennato e il suo sguardo da sopra gli occhiali. Tornai verso casa a passo lento, ripensando alla casualità delle situazioni che, a volte, ci accadono nella vita e a quella frase del libro. Nei giorni a seguire, dedicavo il mio tempo libero a leggere il libro senza farmi vedere, e a riflettere su questa arte giapponese utilizzata come metafora di vita. Il Kintsugi è una vecchia arte giapponese di riparare gli oggetti, prevalentemente vasellame, esaltando le fratture con della polvere d'oro, anziché renderle meno visibili. Questa tecnica risale al XV° secolo in Giappone, si racconta che degli artigiani furono incaricati di riparare la tazza da té preferita dell’ottavo shogun Ashikaga Yoshimasa. Questi applicarono alla tazza la tecnica del kintsugi, riempiendone le fessure con lacca urushi e polvere d’oro. Questo episodio ha fatto nascere la filosofia del riparare qualcosa che si è rotto evidenziandone le cicatrici e facendo diventare quell'oggetto, unico e prezioso. Così, anche le cicatrici diventano una bellezza da esibire. Lo stesso concetto può essere portato nella vita delle persone, dove le ferite ormai guarite, possono diventare cicatrici che rendono unica la persona. Come il kintsugi dona nuova vita ad un oggetto rotto, così nella vita dobbiamo cercare di recuperare le relazioni o i rapporti prima che si logorino del tutto. Un'altra lezione fondamentale del kintsugi è la capacità di reagire alle avversità della vita con coraggio, considerando le esperienze dolorose come occasioni di crescita. Come il kintsugi mette in evidenza le crepe di una ciotola rotta, così noi dobbiamo imparare ad esibire e valorizzare le cicatrici della nostra vita, senza vergognarci di esse. Anzi, secondo la metafora del kintsugi, sono proprio le cicatrici a rendere un’esistenza unica e preziosa. Quando finii di leggerlo, ci volle del tempo per metabolizzare tutti i concetti e insegnamenti appresi dal libro. Ho avuto modo e tempo per rivedere gli ultimi eventi e me stesso, il mio carattere e la mia personalità, i miei punti deboli e quelli a mio favore. Ero ormai pronto per potergli parlare e mettermi a nudo davanti a lei, ammettere i miei errori e chiedergli di perdonarmi. Una sera, rientrando a casa dal lavoro, notai una luce nuova in soggiorno: la tavola apparecchiata per due, con tovaglioli bianchi, calici da vino, il servizio “buono” per i giorni di festa e una candela rossa accesa al centro. La chiamai, per sincerarmi di non aver sbagliato appartamento, e dalla cucina una voce indaffarata risponde: «Caro, adesso non posso...fai una doccia e mettiti comodo.» Si, era la sua voce e quello in cui ero, il nostro appartamento. Con un certo stupore, prendo atto delle istruzioni appena ricevute ed eseguo senza obbiettare. Quando ritornai nel soggiorno, lei era già seduta al tavolo con il calice di vino in mano. Mi invitò a sedermi e mi porse il mio bicchiere con del vino rosso. In silenzio brindammo, facendo tintinnare i cristalli. «A noi due.» Disse. Imitandola, faccio lo stesso ripetendo le stesse parole. La cena era perfetta e anche la serata andò per il meglio, come se non fosse accaduto nulla di anomalo tra di noi. A fine cena l'aiutai a sparecchiare la tavola e asciugare i piatti. Concludemmo la serata sul divanetto del terrazzo. La serata era fresca e la Luna sembrava invitata apposta per l'occasione a impreziosire la scenografia delle luci attorno a noi. Continuavamo a parlare di vecchie storie, dei guai che combinava Lady da cucciola e di quanto, nonostante tutto, siamo fortunati. «Sai, sembri cambiato da un po' di tempo, sembri più attento alle cose.» Mi disse all'improvviso, guardandomi con una luce nuova nei suoi occhi. «Grazie, sei gentile.» Risposi con stupore. Poi, mi ricordai del libro, era l'occasione giusta per poterglielo dare. « Aspetta, ho una cosa per te...non muoverti, torno immediatamente» Gli dissi alzandomi per andare a recuperarlo nel comodino della camera da letto. Tornai con il sacchetto di carta che mi diede il libraio e glielo porsi, dicendo: «Questo è un piccolo pensiero per te, spero che possa piacerti.» «Grazie.» Rispose, mentre allungava la mano, con il viso illuminato di curiosità e stupore. «Anch'io ho qualcosa per te...» Disse, mentre con una mano prendeva un pacchetto da sotto il cuscino del divano. Mi porse una busta di carta simile, quasi delle stesse dimensioni del mio. Restammo alcuni secondi con i nostri sacchetti di carta in mano senza dire nulla, incuriositi e con un leggero immotivato imbarazzo. «Lo apriamo insieme?» Dissi. Lei accennò un sorriso complice e annuì con la testa. Aprimmo con calma i sacchetti e prendemmo il contenuto all'interno. Lei, vedendo il libro che si trovò tra le mani, esclamò: «No, ma che bello...quello di Cognetti! Grazie.» La sorpresa e lo stupore fu da parte mia quando vidi il suo regalo per me. «Kintsugi..? Interessante, di che parla?» Dissi, recitando la parte da attore di soap opera. «Vedrai ti piacerà, ho da poco finito di leggerlo. Mi era stato consigliato da un'amica tempo fa...ti aiuterà a scoprire molte cose su di te.» Rispose. Sorrisi, lasciandomi andare alle sue spiegazioni e metafore, sulle meraviglie che il libro aveva impresso nelle sue pagine. Forse quel libro era stato il dono più bello che abbia mai ricevuto per ben due volte. Quella sera fu una serata tra le più indimenticabili. Ritrovammo noi stessi, persi dalle distrazioni della vita. Avevamo capito l'importanza di riconoscere le nostre imperfezioni e di non nasconderle, ma di esaltarle per riconoscerci nella nostra fragile umanità. Dopo circa un mese, tornai alla libreria con Lady, ma la trovai chiusa. Passai di nuovo la settimana successiva, sempre lo stesso giorno e stessa ora della prima volta, ma la serranda era sempre abbassata. Mi guardai attorno e alzai lo sguardo in cerca di qualcuno a cui chiedere notizie. Al primo piano della casa di fronte un signore, un po' in sovrappeso, stava seduto sul balcone a godere del fresco, fumandosi il suo sigaro toscano. «Mi scusi...Buongiorno, lei sa dirmi perché la libreria è chiusa?» Gli domandai. «Il signor Serafino non c'è più, non lo sa?» Rispose, un po' controvoglia di mettersi a parlare con uno sconosciuto. «Mi scusi, in che senso...è andato via?» Chiesi di nuovo facendo finta di non aver capito. «Nel senso che è morto.» Rispose con tono quasi scocciato. «Non lo sapevo...e quando è accaduto?» Insistei con un certo sconcerto. «Mhà, mi sembra che ormai sono quasi passati un paio di mesi...se non mi sbaglio.» Rispose in modo un po' vago cercando risposte nella sua mente. Lo ringraziai con un groppo alla gola. «Andiamo Lady, torniamo a casa» Dissi al cane. Lei mi guardò con uno sguardo che mi fece intendere di aver già capito tutto. Ripresi la mia passeggiata con Lady lungo i vicoli del paese. L'unico rimpianto che mi porterò appresso, sarà quello di non essere riuscito a ringraziarlo per quel gesto amorevole e gentile verso uno sconosciuto, che ha portato un cambiamento alla mia vita. Forse, gli angeli non sono come ci immaginiamo. A volte hanno le sembianze di un pagliaccio che fa il libraio. (Pietro A. 31 Luglio 2022) Immagine da internet.
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