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Dolore e sofferenza
Il processo mentale ha inizio con la naturale tendenza a evitare il dolore. Semplicemente il dolore non è piacevole. Soffriamo perché coniughiamo l'avversione istintiva al dolore alla convinzione atavica che la vita deve essere priva di dolore. Invece sembra che il dolore sia una parte naturale e addirittura intelligente del processo evolutivo dell'essere umano. Quando opponiamo resistenza al dolore, rafforziamo proprio ciò che cerchiamo di evitare. Facendo del dolore un nemico, lo consolidiamo: tale resistenza segna l'inizio della sofferenza. Opponendo resistenza al dolore, con il proliferare di domande retoriche come: perché capita a me? Cos'ho fatto di male? Questa cosa non doveva accadere! Perché mi ha abbandonato? Non riesco a sopportare questo dolore...che possiamo esprimere a voce o mentalmente, rafforza il loro potere devastante, amplificando il nostro stare male. La fiducia cieca delle nostre convinzioni mentali, solidifica ulteriormente l'esperienza fisica del dolore nella pesantezza della sofferenza. E allora che si fa? Non c'è rimedio? È necessario comprendere che il dolore quando è presente non va ulteriormente amplificato, aggiungendo la sofferenza al dolore. Aprirsi al dolore può non essere possibile se il dolore è intenso, ma nella maggior parte dei casi, non è poi così insopportabile, basta imparare a conoscerlo. Benché le sensazioni continuino ad essere sgradevoli, siamo in grado di farne esperienza. Essere consapevoli del dolore esistente, chiamarlo con il suo nome, può ammorbidire le sue sensazioni. Bisogna avere la forza di prenderne atto e di concentrarsi sulla causa che ha portato al dolore e trovare una soluzione. Inoltre, un'importante alleata è la pazienza, che tutti dovremmo coltivare nei momenti di disagio, per aiutarci a fare i giusti passi verso una soluzione al problema. Aggiungo che nei casi in cui il dolore è provocato da altri, sarebbe salutare imparare a volerci bene e cercare di lasciar perdere chi ci vuole male, ci ha abbandonato, o parla male di noi. Accettare qualsiasi cosa la nostra vita ci pone davanti, come il dolore, ci fa sentire più forti davanti a qualsiasi sfida. La guarigione non riguarda solo i sintomi fisici, molti guariscono anche se il corpo rimane malato o addirittura muore, e molti di loro che si ristabiliscono fisicamente, in realtà non guariscono mai. Per guarire bisogna sgombrare il sentiero che conduce all'apertura del cuore. Di fatto il cuore è sempre aperto, tuttavia il sentiero che porta al cuore è ostruito da anni di condizionamento: gli sono cresciuti sopra protezioni, finzioni, convinzioni, immagini false, paure, rabbia, confusione e resistenza ad accettare la vita così com'è. Quando sperimentiamo tale apertura “un fiore può sbocciare anche da un ramo secco”, come recita un antico verso zen. Fintanto che opponiamo resistenza al dolore, fintanto che consideriamo le difficoltà un ostacolo, fintanto che continuiamo a combattere contro noi stessi, non guariremo mai veramente. Lavorare col dolore e la sofferenza richiede sia la precisione del vedere con chiarezza le nostre convinzioni radicate in noi, sia una consapevolezza mitigante che ci lascia penetrare con tocco leggero in quelle aree che abbiamo la tendenza ad evitare. Questo ci consente di capire quanta parte della sofferenza che proviamo sia inutile. La chiarezza ci da il coraggio di andare avanti a lavorare con la sofferenza, anche nei momenti in cui sembra non finire mai. Da questo lavoro nascerà una maggiore compassione per noi stessi, capiremo che il dolore e la sofferenza non sono il finale della partita che giochiamo quotidianamente con la vita, ma i veicoli più efficaci per il risveglio del cuore. [...] Ezra Bayda (un estratto tratto da "Essere Zen" - 2003 Ubaldini Editore). immagine da archivio personale.
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