
Racconti
Nuvole
L'aeroporto è affollato, ad agosto si sa, è sempre così. La solita interminabile fila ai controlli dei bagagli, con gente che si accalca, insicura, ansiosa. Attendo con calma il mio turno, con la pazienza di chi ha sulle spalle centinaia di voli aerei. Vengo fermato dalla guardia per un controllo, sono quelli abituali a campione, oggi sono stato sorteggiato: esito negativo, posso proseguire. Solito percorso obbligato nei corridoi che si intersecano tra loro, contornati da negozi di ogni genere di prodotti. Vicino alla porta d'imbarco c'è il solito bar, poco affollato, specializzato in prodotti di pasticceria: cannoncini e macaron. Ormai è diventato un rito a cui non mi sottraggo, mi fermo per il solito caffè di un'ottima marca, e un cannoncino alla crema. Mi siedo al tavolino per godermi quei pochi grammi di felicità pagata a prezzo esorbitante. Mi soffermo a guardare fuori dalle vetrate dell'aerostazione, con lo sguardo che si perde all'infinito. Mi sorprendo nel sentire meno entusiasmo, degli anni passati, nel partire per questa vacanza al mare. Avrei preferito fare un viaggio in qualche meta esotica, in compagnia di un partner con cui poter condividere l'esperienza. Purtroppo per motivi legati all'attuale situazione sanitaria, non è stato possibile. Mi sposto alla ricerca di una poltroncina libera nella sala d'aspetto: molte sono quelle disponibili, ma hanno il simbolo di divieto appiccicato sullo schienale, quindi diventa un'impresa trovarne una libera. Una signora si alza nell'istante in cui gli passo davanti: il posto è mio. Mi accomodo. Pur avendo l'opzione della “priorità d'imbarco” attendo che la coda defluisca, per limitare il tempo d'attesa, in piedi e accalcati, nel corridoio che precede la salita sull'autobus che ci porterà all'aereo. Ognuno ha sul viso ogni sorta di mascherine, dalla semplice “chirurgica” come quella che indosso, a forme e colori tra le più sorprendenti e fantasiose. Salito sull'autobus, una giovane coppia si ferma in piedi davanti a me. Entrambe sono alti, snelli e belli: lui è moro con folti capelli e una barba incolta di circa una settimana, uno zaino tenuto su una spalla e una mano che tiene il corrimano verticale dell'autobus, come se fosse un lungo bastone; lei ha i capelli biondi, lisci, raccolti in una coda, carnagione chiara e occhi azzurri come il cielo limpido nei giorni d'estate. Teneva in braccio una piccola bambina di pochi mesi, con pochi capelli biondi e gli occhi come quelli della madre, innervosita dai rumori e dal caldo afoso. Mi hanno dato subito l'impressione di essere al cospetto della “sacra famiglia” del ventunesimo secolo, in fuga da chissà quale persecuzione. Forse, proprio quella che stiamo vivendo a causa di questa pandemia. Che strano, penso. Avrei voluto fargli una foto, ma non credo che l'avrebbero gradita da uno sconosciuto. L'autobus, dopo un tortuoso girovagare sulla pista, finalmente arriva a destinazione: l'aereo è dinnanzi a noi. Salgo i gradini della stretta scaletta metallica, che porta all'ingresso, un fugace e consueto saluto con l'equipaggio e proseguo alla ricerca del posto assegnato e lo spazio per la valigia da inserire nella cappelliera. Una signora, seduta nella prima poltroncina della fila, è costretta ad alzarsi per ben due volte: prima per far passare un corpulento signore abbastanza vivace e, successivamente, me che ho preso posto vicino al finestrino. Mi accomodo alla ben e meglio in questi angusti spazi che i voli a “basso costo” offrono ai propri clienti. Qualche breve scambio di parole con il vicino di posto e mi preparo a trascorrere questo ottanta minuti di volo leggendo un libro, che sarà il mio compagno per questa vacanza. Un ragazzo venuto dal fondo dell'aereo si ferma a parlare con il signore seduto al mio fianco. All'inizio non mi occupo della faccenda, poi capisco che è sorto un problema: sembra che suo figlio minorenne, sia seduto in una fila di poltrone non consentita, di solito sono quelle con le uscite di sicurezza. Mi saluta frettolosamente e, per la terza volta la signora della prima poltroncina, è costretta ad alzarsi. Prima di sedersi, attende l'arrivo del ragazzo che prenderà il posto del padre. E' un ragazzo magro, alto, capelli corti e un consunto cappellino con visiera calzato al contrario sulla testa, con la scritta “Brooklyn” in rilievo. Il mio sguardo cade sull'eccentrica mascherina con stampato il viso di Joker, quello dell'ultimo film, che ricalca perfettamente il viso di chi la indossa, dal naso al mento. Il ragazzo mi guarda e inizia a parlarmi: «Buongiorno signore» Inizia a raccontarmi di quanto gli è accaduto poco fa e la causa che lo ha portato a sedersi accanto a me. Prosegue: «Lei signore dove va?» «A Trapani. Penso che anche tu vai a Trapani?» Rispondo. «Ah si è vero, però dopo vado a Marsala da mio nonno, sono due anni che non vedo il nonno. Eh si...» Nel suo particolare modo di esprimersi, capisco che questo ragazzo è speciale. Inizio a guardarlo meglio, noto i suoi tic nervosi, le movenze delle mani e degli occhi mentre si esprime. Ad un tratto mi guarda e mi domanda: «Signore, potrei sedermi vicino al finestrino al suo posto? Sa, è la prima volta che viaggio in aereo e volevo vedere le nuvole.» Sorrido e senza pensarci troppo, acconsento allo scambio. Lui resta sorpreso della risposta positiva e inizia a ringraziarmi di quel piccolo favore. Per evitare di creare disturbo alla signora del primo posto della fila – non vorrei che per l'esasperazione si metta ad urlare e a malmenarci - impartisco le istruzioni per poter eseguire il passaggio senza problemi, nonostante felpe e zaini a complicare la situazione. Alzo il bracciolo che divide le due poltroncine e, mentre io da seduto scivolo sul posto centrale, il ragazzo all'impiedi si sposta verso quella vicino al finestrino. Tutto avviene senza difficoltà e in poche decine di secondi. Mi sembra contento di poter fare il volo vicino al finestrino. «Ho conosciuto il tuo papà e ho visto tuo fratello. E la mamma?» Gli domando. «Si, siamo io, mio papà e mio fratello, la mamma no.» Rispose. Poi subito aggiunse: «...e dovuta stare a casa con i cani. Noi abbiamo i cani, non possono rimanere soli.» Grazie al cielo, stavo pensando al peggio. Nel momento in cui l'aeromobile comincia a muoversi, noto in lui una certa agitazione. Cerco di mitigare parlando con voce calma e anticipando l'elenco delle fasi che precederanno il decollo, cercando di rassicurarlo. Il suo sguardo si sposta nervosamente dal mio viso al finestrino e all'interno del velivolo. Già mi attendevo il peggio nel momento del decollo, con i reattori al massimo della potenza e la spinta che avviene sul corpo al momento dell'accelerazione. Già mi vedevo lui avvinghiarmi il braccio, stritolandomelo, per la tensione emotiva. Per fortuna è andato tutto bene e come ogni ragazzo che sperimenta nuove emozioni, si è divertito un sacco per tutte le sensazioni che ha provato su di se. La sua testa continuava a roteare a destra e sinistra, tra il mio viso e il finestrino. Continuava a domandarmi se quello è un fiume, se quella è una strada, dove siamo, che paese è quello, siamo in Toscana, o siamo già a Napoli, e tutta una serie di domande sull'aereo sulla velocità, altezza...insomma, un fiume in piena! Cercavo di rispondere a quanto è nelle mie possibilità e correggendo qualche imprecisione di geografia. «Lei è bravo in geografia, a me non piaceva la geografia...la storia si, avevo anche dei bei voti in storia.» Disse, e aggiunse dopo una breve pausa, come a essersi accorto che c'è dell'altro: «Sa, lei è un signore simpatico e gentile.» «Anche tu sei un ragazzo simpatico e gentile, sei un bravo ragazzo.» Risposi, sorridendo come potevo attraverso i miei occhi. Ogni volta che il comandante dava istruzioni all'equipaggio con l'interfono, parlando in inglese, lui mi domandava: «Cos'ha detto? Sa cosa dice?...è inglese, io non so l'inglese, faccio fatica a capirlo. Lei lo sa?...è bello conoscere altre lingue.» «Un po' lo capisco. Penso che se vuoi viaggiare all'estero, sia importante almeno conoscere l'inglese.» Rispondo. Lui ci pensa un po' su, poi si volta verso di me e mi dice: «E certo, l'inglese è importante, ma io vado a Trapani, non penso che mi serva?» Risponde. Ovviamente non faccio obiezioni alla sua semplice disanima sulla necessità di conoscere l'inglese e gli confermo che con molta probabilità ha ragione. Mi auguro solo che i siciliani, da quest'anno, non abbiano deciso di esprimersi in inglese con tutti i turisti provenienti dal nord. Conoscendoli, non credo che possa correre questo rischio. «Che belle le nuvole, hanno tante forme, anche di animali...e vero?» Mi domanda. «Certo, sono una meraviglia della natura. Con un po' di intuito e fantasia puoi vederci qualsiasi cosa.» Rispondo. Si acquieta e resta con la testa attaccata al finestrino a guardare le nuvole, il cielo e qualsiasi cosa di divino e meraviglioso ci sia lì fuori. Si perde via per diversi minuti, non so quanto tempo in realtà sia passato. Mi ricordo di quando da piccino feci il mio primo volo. All'idea di volare ero tutto eccitato e lo raccontavo a tutti quelli che incontravo. Alla mia tata ricordo che gli dissi: quando torno ti porto un pezzo di nuvola come regalo. E' bello essere bambini, si possono dire molte cose con la fantasia. Ad un tratto noto che la sua attenzione è attratta dalla signora seduta al mio fianco, intenta a maneggiare con il suo telefono portatile. Lui si avvicina a me e, a bassa voce, mi sussurra: «Guarda...sta usando “Watsapp”. Non si può usare il cellulare.» Con fare disinvolto, getto un'occhiata al telefono della signora e cerco di capire qual è il suo intento. Poi rispondo sempre con un tono di voce basso: «Guarda solo i messaggi, senza scrivere, in “modalità aereo“ è possibile...se vuoi puoi anche giocare basta che resti in “offline”.» Aggiungo, ricordandomi della passione dei ragazzi per i giochi elettronici. In questo modo, penso, potrà distrarsi e scaricare l'adrenalina accumulata, ed io riposarmi per un po'. «Davvero!? Posso giocare? Non mi dicono niente se mi vedono con il cellulare in mano?» Mi domanda con una certa eccitazione all'idea di poterlo fare. «Non ti preoccupare, se dovessero dirti qualcosa, gli dico che ho controllato che sei in “modalità aereo”». Lo rassicuro sfoggiando un mio sorriso da sotto la mascherina. «Grazie, lei è un signore simpatico». Cerca di sorridere, ma la mascherina con il sorriso di Joker non aiuta. Si precipita con la mano a recuperare il telefono dal suo zaino, posto tra le gambe. In un attimo lo accende e inizia a mostrarmi tutte le applicazioni contenute sulle varie videate che scorre con il dito pollice, la maggior parte tutti videogiochi. Mi fa notare il numero sorprendente e inizia a contarle una alla volta per farmi conoscere la quantità esatta. Allora, gli consiglio di fare una semplice operazione matematica: moltiplicare il numero di app in orizzontale per il numero in verticale e moltiplicare il risultato per il numero di pagine. Grazie alla calcolatrice del telefono che ha reso più semplice il conteggio, risultano essere 280 applicazioni! «Sono tantissime, vero? E' un bel telefono...è nuovo». Dice, mostrandolo con un certo orgoglio. Inizia ad aprire un gioco via l'altro. Lo apre, ci gioca un po', lo trova noioso e ne riapre un altro, cercando quelli che si possono utilizzare senza la connessione ad internet. Quando trova qualcosa di funzionante e a lui gradito, inizia a giocarci mostrandomi come fare. Resto un po' contrariato su quelli in cui si fanno uso di armi, ma non dico nulla per non aprire chissà quale inutile polemica. Le sue dita si muovono velocissime sullo schermo del telefono e, mentre gioca, mi parla e a volte si volta verso di me, mentre continua la partita. Sembra giocare in modo rilassato, quasi distaccato, senza un coinvolgimento emotivo dovuto al dinamica del gioco, come se ci fossero due persone: un a che gioca e l'altra che conversa piacevolmente con me. Ad un certo punto, si rende conto che lo schermo mi riflette la luce che entra dall'oblò sul mio viso. Scusandosi, sposta il telefono più in basso, senza smettere di giocare. Avrà giocato per circa una ventina di minuti, quando la hostess di bordo annuncia con l'interfono che presto saremmo atterrati a destinazione. Il ragazzo si appresta immediatamente a rimettere a posto il telefono nello zaino, prima di ricevere qualche rimprovero. Lo rassicuro che se vuole, può continuare a giocare, che prima dell'atterraggio avrà tutto il tempo di prepararsi per scendere dall'aereo. L'eccitazione mista ad ansia è tale, che la sua testa si sposta nervosamente dal cellulare al finestrino, all'interno dell'aereo, alla hostess che controlla i passeggeri e a me, come in cerca di rassicurazione. «Perché guardano le persone?» Mi domanda. «Controllano che tutti abbiano la cintura allacciata». Rispondo. «La mia è allacciata bene, vero?» Mi chiede con una certa apprensione. «Si certo, va benissimo». Lo rassicuro. Ecco, ci siamo. L'atterraggio è una fase del volo aereo tra le più delicate, ancor di più rispetto al decollo. All'aeroporto di Trapani non sempre si è avuto un tocco morbido delle ruote del carrello sulla pista. Sarà il tipo di asfalto o il vento che rende l'operazione difficoltosa. Comunque, mi conforto pensando che ogni volo è a se e forse oggi andrà meglio dell'ultima volta, quando il pilota fece scendere l'aereo bruscamente facendomi prendere un brutto contraccolpo alla schiena, e questo anche a causa della poca consistenza e comodità dei sedili. Per fortuna, o per bravura del pilota, è andato tutto bene. Il ragazzo non vedeva l'ora di togliersi la cintura di sicurezza: non capiva che finché l'aereo non si ferma sulla piazzola di parcheggio definitiva, non ci si può alzare e togliersi la cintura. Continuava a giocare con la fibbia, si divertiva a slacciarla e allacciarla in continuazione. Penso sia stata una liberazione quando hanno spento il segnale luminoso di “cinture allacciate”. A causa delle nuove regole, i passeggeri venivano fatti scendere una fila alla volta, finché la fila davanti non fosse scesa dall'aereo, quelli della fila seguente non potevano alzarsi. Intanto, nell'attesa, continuavo a dare spiegazioni ad ogni sua curiosità, finché finalmente arrivò il nostro turno. La signora della prima poltroncina sembrava quasi sollevata di poter scendere, forse non abbiamo reso tranquillo il suo viaggio? «Adesso, quando scendiamo dalla scaletta, aspettiamo lì tuo papà e tuo fratello, va bene?» Gli dico prima di alzarci dai sedili. Sembrava preoccupato, ma mi rispose di si, e mi seguì fino a terra senza problemi. Tutto è andato per il meglio. Il papà, con un enorme sorriso sotto la mascherina, scese dalla scaletta e ci venne incontro. Si rivolse a me, chiedendomi: «Grazie. Gli ha dato fastidio?» «Assolutamente, no. Ci siamo fatti compagnia». Risposi. «E' un signore simpatico e gentile...» Disse il ragazzo rivolgendosi a suo papà. «Anche tu. Ciao, buone vacanze!» Gli augurai. Mi congedai dall'allegra comitiva con un gesto della mano, mi voltai e proseguii verso l'aerostazione. Oggi, mi è stata data un'opportunità di fare qualcosa di utile e di ricevere come ricompensa una singolare esperienza, che ti arricchisce e ti fa comprendere meglio chi sei, grazie al confronto con gli altri. Chi apre il proprio cuore percepisce che in ogni esperienza c'è qualcosa di unico, che non capita tutti i giorni. Quello che doveva essere un normale e noioso viaggio aereo fatto ormai tante volte, si è rivelato essere un'esperienza meravigliosa che ricorderò a lungo. Davide è un ragazzo gentile e simpatico di 14 anni, quest'anno inizierà la scuola al primo anno di agraria. (Pietro A. 12 agosto 2021) Immagine da archivio personale.
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