
L’impresa
L’oscurità della notte lascerà spazio alla luce, tra poche ore. La fuori è ancora buoi e l’aria è ancora fredda. Quando mi sono svegliata i miei compagni erano già partiti, mi sono ritrovata sola all’interno di questa grotta, in cui ci eravamo riparati la sera prima. Esito se partire o attendere che faccia l’alba, con la luce mi orienterei meglio e eviterei di imbattermi in situazioni di pericolo. Forse, se partissi subito potrei ancora tentare di raggiungerli, o sarebbe più prudente attendere il loro possibile ritorno? Dovrei decidermi subito sul da farsi, attendere ancora vorrebbe dire non muovermi più. Partire subito “a freddo”, per una come me, non è semplice, ho bisogno di scaldarmi per poter affrontare il cammino, con un corpo già pronto ad ogni eventualità. Dopo qualche esercizio di riscaldamento, prendo coraggio e mi incammino. La fatica all’inizio è estenuante, sola, nel buio, in un luogo che non conosco, meno male che non ho bagaglio da trascinarmi dietro. Doveva essere una situazione semplice da risolvere e invece si sta rivelando più complicata del previsto. Lasciato il bivacco, percorro il cunicolo di cui non riesco a vederne la fine, avanzando quasi alla cieca, ci fossero i miei compagni sarebbe stato tutto meno impegnativo e faticoso. Ho deciso di partecipare a questa impresa, dopo che alcuni nostri compagni sono partiti il giorno prima e da allora, non abbiamo ricevuto nessuna notizia. La nostra sarebbe una spedizione di soccorso, ma mi auguro che non sia necessario portare aiuto, che possiamo trovarli in buone condizioni. Ho camminato non so per quanto, non ho con me strumenti per misurare lo scorrere del tempo, lentamente e tastando pareti e terreno cercando di non ferirmi, prima di vedere finalmente una fioca luce provenire dal fondo. Finalmente, ci siamo. Alla luce dell’alba potrò finalmente rendermi conto, vedere dove mi trovo e decidere se continuare o restare in attesa dei miei compagni. All’uscita del cunicolo mi ritrovo su un piano di pietra grigia che si estende oltre la mia visuale, illuminata dalla luce della Luna quasi piena. L’alba è ancora distante e questo complica un po’ le cose. L’aria è fredda, immobile, intorno il silenzio è quasi irreale. Mi guardo attorno, ma non vedo nessuno e non sento voci o rumori provenire da lontano. Deduco che i miei compagni saranno, ormai, parecchio distanti da qui. Non avendo nessun punto di riferimento e nemmeno una traccia da seguire su questa roccia piatta e levigata dalla pioggia, scelgo di procedere alla mia sinistra, non per un senso logico, ma solo per intuito e sperando che la fortuna sia dalla mia parte. Camminando da sola nel silenzio in compagnia solo della Luna, benevola, che fa il possibile per illuminare il mio sentiero, cerco di rincuorarmi con pensieri ben auguranti per il lieto fine di questa avventura. Non so per quanto tempo ho camminato in questo luogo quasi irreale, quando ad un certo punto mi trovai di colpo sull’orlo di un precipizio. Mi fermai appena in tempo a non cadere giù. Mi sporgo per vedere e, sotto di me, il vuoto fatto di fredde ombre sfuggenti e di oscurità che inghiotte la luce. Il cuore mi salì fino alla gola, ma non mi persi d’animo e iniziai a cercare un punto per poter superare quell’ostacolo improvviso. Mi incamminai lungo il bordo, prima da una parte e poi dall’altra tornando sui miei passi, senza trovare una soluzione. E’ probabile che anche i miei compagni si saranno trovati nella medesima situazione: devono essere pur passati da qualche parte. Resto immobile, cercando di percepire qualche movimento o rumore provenire dal basso, ma niente. Con i miei arti cerco di tastare la roccia alla ricerca di un appiglio, di una via per poter scendere, perlustrando ogni centimetro di quel bordo. Niente. Niente. E ancora niente, che potesse sembrarmi una via sicura. Finché, con mia enorme sorpresa, non mi apparve una parete di roccia verticale, una falesia, che dal basso saliva verso l’alto, una roccia ruvida e con evidenti punti d’appoggio che la fioca luce lunare faceva risaltare nei chiaroscuri delle cavità. Iniziai a studiare il tipo di roccia, la friabilità e la reale possibilità di scendere con i giusti appigli, senza trovarmi in un vicolo cieco da cui non potermi più districare. La discesa non fu semplice. Più volte ho dovuto cambiare direzione, spostandomi lateralmente per qualche metro per cercare dei punti di presa sicuri. Me la cavavo bene, finché la Luna non sparì e tutto si fece ancora più buio. L’alba era ancora lontana per sperare in una breve attesa, ormai dovevo andare avanti. Senza perdermi d’animo, proseguì lentamente, tastando con le mie estremità e il corpo la roccia fredda e umida, nello stesso modo in cui sono uscita dal cunicolo. Continuavo a scendere e, guardando in basso, non riuscivo a vederne la fine. Ad un certo punto, iniziai a percepire un leggero chiarore che prendeva il sopravvento sull’oscurità: forse mi stavo avvicinando alla base della falesia? Passò ancora del tempo, mentre lentamente scendevo strisciando su quella roccia e finalmente toccai il suolo piatto e liscio: ero finalmente arrivata sul fondo. La superficie bianca, fredda e scivolosa, ma molto dura, rendeva gli spostamenti difficoltosi. Mi fermai ad ascoltare l’aria della notte che restava priva di rumori, solo silenzio e il buio che rendeva quel luogo ancor più tetro e spettrale. Iniziai a cercare tracce dei miei compagni, facendo molta attenzione, ma lì intorno non c’era nessuna traccia del loro passaggio. Mi allontanai dalla falesia lasciandola alle mie spalle. Non riuscivo ad avere punti di riferimento e sicuramente ritrovare la strada di casa sarà una vera impresa. Proseguo a tentoni, annaspando su quella superficie poco rassicurante, nel timore di qualche insidia nascosta: crepacci, seracchi, ponti o altro. L’unica fortuna fin’ora, che il cielo è stato sereno e il vento assente. Non feci in tempo a rincuorarmi con queste considerazioni, che mi ritrovai a scivolare verso il basso. Istintivamente e con tutte le mie forze, mi aggrappai al bordo fermandomi quasi subito, evitando di precipitare. A quel punto tutto cambiò di colpo e si fece più complicato. Un lampo di luce squarciò il cielo sopra la mia testa e finalmente riuscii a vedere dove mi trovavo: la falesia di roccia verticale era poco distante da me e in alto il bordo di roccia liscio e lungo su cui mi ero affacciata nelle prime ore della mattina. Mi tirai su dal bordo a cui ero riuscita ad aggrapparmi e così riuscii a vedere questa larga vallata bianca e profonda. Sul fondo vidi i miei compagni che annaspavano cercando di risalire, alcuni di loro inermi, finiti dentro a pozze d’acqua. Rimasi esterrefatta da quella inaspettata visione, mi ritrassi istintivamente dal bordo più lontano possibile, domandandomi come avrei potuto da sola aiutarli. Tutt’a un tratto un urlo spaventoso scosse l’intera valle, un urlo disumano che mi fece raggelare: “AAAAAAHHH…la vasca da bagno è piena di formiche!!!”.
(Pietro A. 6 maggio 2021) Immagine da archivio personale.
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