La visita

La visita

Oggi, il signor Paride era più silenzioso del solito. Se ne stava lì, immobile, come una statua di cera, seduto sulla sedia a rotelle in un angolo del giardino dove era possibile scorgere un angolo di mare. Sembrava quasi rapito dalla meravigliosa vista che si gode da quel punto preciso, ma sono convinto che abbia nella testa altri pensieri che lo tormentano. Chissà quanti ricordi dal passato affiorano nella sua mente. Questa mattina si era alzato più presto del solito, mi aveva chiesto di riordinarsi la folta barba bianca e i capelli; ha voluto che gli prendessi dall’armadio il suo abito migliore, un completo blu e camicia bianca di ottima manifattura, che aveva indosso il giorno in cui arrivò qui alla casa di riposo all’incirca undici anni fa. Si presentò da solo all’ingresso dell’istituto, un lunedì di prima mattina, abbigliato come se dovesse partecipare ad un appuntamento importante, nel suo abito blu con una sciarpa di seta al collo, scarpe di cuoio nero lucide e un cappello bianco con guarnizione nera, un panama Montecristi. L’unica persona informata era la direttrice, la quale, avvisata del suo arrivo, si precipitò dal suo ufficio al portone d’ingresso per dargli il benvenuto.

Il signor Paride non era una persona problematica, come altre che sono qui in istituto, anzi era una persona molto riservata e poco loquace, anche con gli altri ospiti. L’unica persona con cui aveva il piacere ogni tanto di chiacchierare, era la signora Lucia, una tra le più giovani della casa, con cui alternava lunghe e silenziose passeggiate in giardino, a partite di burraco dopo cena. La maggior parte del tempo lo passava nella sua camera a scrivere o a leggere alcuni libri, che si era portato con se in una vecchia valigia di cuoio. Per alcuni anni non ebbe bisogno di particolari cure o attenzioni, essendo in grado di gestirsi in perfetta autonomia riguardo la cura personale. Quando arrivò quel giorno nefasto in cui svenne, per un malore nel bagno della sua camera. Il giorno seguente, la direttrice mi fece convocare nel suo ufficio e, senza tante spiegazioni, mi chiese di prendermi cura delle esigenze del signor Paride. Le uniche raccomandazioni furono di avere una certa discrezione e di essere accomodante riguardo eventuali richieste. Capii che la scelta cadde su di me per essere una persona che non si prende un’eccessiva confidenza con gli altri e non sono uno che si perde in chiacchiere sul posto di lavoro; non avevo mai creato problemi e assolvevo qualsiasi compito che mi veniva affidato senza lamentarmi.

I primi giorni furono di reciproco studio. Avevo imparato a leggere le espressioni del suo viso, il modo di guardarmi fisso con i suoi piccoli occhi scuri e l’aria seria, quando non mi voleva attorno, o quando gli angoli della bocca erano rivolte leggermente all’insù, come ad accennare un sorriso. In quel caso era di buonumore e aveva piacere di conversare un po’, ma il mio ruolo era quasi sempre di prestare ascolto alla voce dei suoi racconti. Storie brevi semplici aneddoti, pochi dettagli, a volte, per me, apparentemente privi di senso.

Da quel primo giorno erano trascorsi ormai cinque anni, che mi occupavo di lui quasi sei giorni su sette e, nonostante le diverse ore insieme durante la giornata, non era mai nata una vera amicizia. Ognuno di noi recitava la sua parte, come giusto che sia. Rischiare di affezionarmi agli ospiti dell’istituto non faceva bene, ne a me ne a loro, essendo consapevole che un giorno, non molto distante, non saranno più qui. Rimanere al mio posto assolvendo ai miei compiti ogni giorno, era il modo giusto per stargli vicino.

La domenica mattina era piuttosto fresca, ed era piacevole ricevere i raggi di sole su di se. Lui stava lì a contemplare l’infinito ed io alle sue spalle, a pochi metri di distanza seduto su una sedia da giardino, godendomi quei momenti di riposo. E lo guardavo. A un certo punto, sento un rumore di passi alle mie spalle avvicinarsi verso di noi. La direttrice mi passò a fianco e si diresse verso di lui, seguita da una donna di bassa statura, ben vestita, che camminava con un po’ di fatica. La direttrice la fermò qualche metro prima con un gesto e si avvicinò al signor Paride, annunciandogli la visita. Lui la guardò e con il movimento della testa diede l’assenso. Allora la direttrice disse alla signora che poteva raggiungere l’uomo sulla sedia a rotelle, e con un gesto verso di me, di andarmene per lasciarli soli. Prontamente lui agitò la mano come a significare di lasciar perdere, che potevo restare. La direttrice mi guardò e scosse leggermente il capo, come a dire: e va bene, fa come vuole lui. Tornò sui suoi passi verso l’edificio, lasciando la visitatrice in piedi di fronte a lui, dritta e distante. Era una donna che dimostrava all’incirca la stessa età dell’uomo, nonostante i capelli tinti biondo cenere, la pelle del viso curata e leggermente truccata. Dal suo viso risaltavano gli occhi, grandi e chiari, penso verdi e immaginavo che da giovane potesse essere stata una bella ragazza. Il loro dialogo inizialmente era abbastanza formale, come se fossero due parenti alla lontana che non si vedevano da un po’ di tempo e, forse, non avevano molta voglia di vedersi. Domande semplici, le sue, del tipo: come stai? Come ti trovi? Come ti trattano? Il cibo è di tuo gradimento? A sua volta, lui rispondeva con frasi brevi, senza arricchire la sterile conversazione intervallata da brevi silenzi. Quando lei si sentì più a suo agio, il suo linguaggio si fece più critico: riguardo alla scelta di rinchiudersi in un ospizio, di essersi allontanato dalla figlia e di aver venduto la sua bella casa. Fino a esprimere giudizi sul suo carattere, a criticare aspramente le scelte fatte in passato, il modo di agire alle situazioni e al modo di vedere le cose. Il signor Paride rimase impassibile ad ascoltare, senza lasciar trasparire nessuna emozione, anche se lei si trovava di fronte a lui, il suo sguardo andava oltre quel corpo, forse a contemplare l’azzurro del mare. Attraverso l’immagine di quella vastità d’acqua vista già molte volte, trovava calma e serenità di metabolizzare il biasimo di quella donna. A un certo punto, lui gli disse che era stanco e voleva andare a riposare. Mi fece un cenno con la mano di avvicinarmi. Con tono di voce calma e stanca, la congedò dicendogli: “Ho chiesto di vederti per poterti salutare e ringraziarti per quello che hai fatto per me. Ti auguro di stare bene e di trascorrere il tempo che ti resta in salute e con persone che ti vogliono bene… prenditi cura di Teresa, una delle poche cose buone che ho fatto nella mia vita”. Probabilmente lei si aspettava una diversa reazione da parte sua. Senza darle il tempo di replicare, mi fece cenno di voler andare nella sua camera. Mi avvicinai e nel prendere le maniglie della sedia a rotelle, dissi alla signora di seguirmi. Per tutto il tragitto verso l’ingresso dell’istituto, lei rimase in silenzio, camminando alle mie spalle. Si salutarono in modo semplice, senza troppi convenevoli, e subito voltai la sedia dirigendomi verso le camerate.

Per tutta la settimana seguente parlò meno del solito, anche con Lucia, tant’è vero che lei gli domandò cosa gli avesse fatto di male. Lui prontamente la rassicurò con parole affettuose e forse gli confidò quanto accaduto il giorno della visita, perché lei sembrava più sorridente e comprensiva del solito nei suoi confronti.

La domenica seguente la giornata era fresca e luminosa, lui si fece vestire con l’abito della festa e l’immancabile cappello. Pensai che avesse deciso di vestirsi elegante tutte le domeniche, per onorare la giornata festiva. Si svegliò di ottimo umore e sembrava, a modo suo, più allegro del solito. Lo accompagnai al suo posto preferito, in quell’angolo del giardino di fronte al mare e io, come sempre, seduto dietro di lui. Mi sembrò di rivivere lo stesso momento per la seconda volta, quando sentii dei passi alle mie spalle e la direttrice passarmi accanto con una donna che la seguiva di qualche passo dietro di lei. Ogni gesto, ogni frase, ogni movimento si ripeteva con la stessa ritualità. Solo l’ospite era diversa. La visitatrice era di corporatura snella, capelli grigi lisci e lunghi fino alle spalle, occhi allungati e pupille nere come la notte. La bocca aveva una certa sensualità, con labbra carnose e un sorriso con denti piccoli, bianchi e ben curati. Sembrava più giovane di lui, ma forse non di molto. Indossava un abito leggero di cotone, bianco, lungo fino ai piedi e una cintura di cuoio alla vita. Un esile girocollo con un piccolo brillante era l’unico accessorio che indossava. Quando lei fu di fronte a lui, si sorrisero per un breve istante senza dirsi nulla. In quel breve momento chissà quanti ricordi affiorarono nei loro occhi e ripresero a vivere per un solo attimo. Lei si chinò su di lui e lo baciò teneramente sulla guancia. Si allontanò, restando a guardarlo negli occhi a poca distanza da suo viso. Lui le sorrise e rivolgendosi a me mi chiese di portare una sedia per la signora. Si accomodò a fianco a lui, in modo che entrambe potessero vedere la vista del mare. La conversazione prese subito spunto dai ricordi di vacanze marine: mete italiane e estere, luoghi meravigliosi e aneddoti sulle loro avventure. Quando ci fu una pausa nella conversazione, lei gli domandò come mai avesse voluto rivederla dopo tanto tempo. Lui rimase con lo sguardo fisso sul mare, in silenzio per qualche decina di interminabili secondi. Lei attese con pazienza, guardando il mare insieme a lui. Era un immagine tenera, che non mi dimenticherò facilmente, penso per il resto dei miei giorni. Lui si volse verso di lei, cercò la sua mano, la strinse con delicatezza e le disse: “Volevo vederti ancora una volta… forse l’ultima, e poterti salutare prima del mio prossimo lungo viaggio, da cui non si fa ritorno”. Lei guardandolo teneramente gli sorrise, senza dire nulla. Il suo viso s’illuminò di tutto quell’amore che un giorno aveva provato per quell’uomo e che in questo istante ritornò a rivivere. Gli strinse le mani tra le sue e senza dire nulla, tornò di nuovo a guardare il mare insieme a lui… forse per l’ultima volta. Quando la visita terminò, accompagnai il signor Paride e la sua ospite lungo i vialetti del giardino, con lei al suo fianco, continuando a parlare fino al momento di salutarsi alla porta d’ingresso. Lui restò a guardarla fino all’ultimo istante in cui la porta si chiuse dietro di lei e, per un attimo, i loro occhi si guardarono per l’ultima volta.

Anche la settimana che seguì, parlò solo il necessario, sia con me e sia con gli altri ospiti. Lucia sembrò aver compreso la situazione e non sembrava impensierirla questo suo modo di fare, ma sembrò comprensiva e disposta a correre in suo aiuto se ne avesse avuto bisogno.

Una sera, quando lo accompagnai nella sua stanza, mi disse: “Vedi, le donne possono andare e venire, ma quello che rimane, sempre, è l’amore”. Non so perché mi disse questo, pensai, forse era solo un semplice consiglio di padre verso un figlio, vista la mia giovane età.

Passò un’altra settimana. Sabato sera, prima di mettersi a letto, gli chiesi se per il giorno seguente avrei dovuto di nuovo preparargli il vestito della festa e fargli la barba, sperando in un no come risposta. Invece, con mio stupore, mi confermò che domani avrebbe avuto un’altra visita.

Il giorno seguente i preparativi all’evento erano ben orchestrati e tutto si svolse senza intoppi. Alle 9 e mezza del mattino era già in giardino al suo posto, davanti a quello scorcio sul mare. Trascorsero circa una trentina di minuti prima della comparsa della direttrice, seguita da un’altra donna. Si fermò poco distante da dove ero seduto, mentre veniva annunciata all’uomo sulla sedia a rotelle. Si voltò verso di me e con uno splendido sorriso mi salutò con un “Buongiorno”. Contraccambiai il saluto allo stesso modo. Era più giovane delle altre, di poco più alta, un corpo formoso, ma non grassa, capelli cotonati biondi, ovviamente colorati, occhi chiarissimi tra il grigio e il verde chiaro e la pelle candidamente chiara. Indossava un leggero golfino azzurro, sopra una camicia bianca e una gonna blu, che si fermava appena sopra il ginocchio. Non indossava gioielli, solo dei piccoli orecchini e un modesto orologio da donna al polso sinistro. Mi sembrò che si sentisse fuori luogo, quasi preoccupata. Si guardava attorno come per avere delle rassicurazioni da qualcuno o qualcosa, mentre si teneva stretta una piccola borsetta di pelle azzurra. Quando finalmente si trovò di fronte a lui, il suo viso cambiò espressione, apparve di nuovo quel meraviglioso sorriso. Lo chiamò con un nomignolo che non riuscii a capire, mentre si abbassava su di lui e, stringendogli le mani tra le sue, lo baciò teneramente sulle labbra socchiudendo gli occhi. Senza che lui mi chiedesse di farlo, presi una sedia da giardino e la misi al fianco della sua, invitando la sua ospite a sedersi. Lui mi indicò di mettere la sedia al lato opposto, rispetto alla sua ultima ospite, senza darmi spiegazioni. Lei si accomodò al suo fianco e gli chiese della sua salute, sembrò abbastanza preoccupata vederlo seduto su quella sedia. Lui la rassicurò, ricordando la sua veneranda età e di come si sentisse fortunato ad avere la mente ancora lucida e presente. Cambiò subito argomento domandandogli di una certa Marica. Lei gli rispose che stava bene, che aveva trovato un buon lavoro e anche i figli godevano di ottima salute. Parlarono per oltre un’ora, tenendosi mano nella mano. Lei sembrava felice, soprattutto per lui, o soltanto per essere lì. Gli chiese, quasi stupita, della scelta di venire a trascorrere l’ultima parte di vita in un posto come questo, ma senza dare dei giudizi. Comunque si complimentò dell’ottima scelta del luogo: “Da qui puoi vedere da una parte il mare e dall’altra le montagne, le due cose che hai amato di più”. Lui, nel confermare che uno dei motivi era stato proprio la posizione dell’istituto, la corresse dicendo che c’era anche una terza cosa che aveva amato di più: le donne. Risero. Quella mattina lui mi sembrò un’altra persona, ringiovanita, spensierata, felice. Nei rari momenti di pausa della conversazione, rimasero per un po’ di tempo a guardare il mare, poi lui disse: “Sai cosa mi mancherà di più?” E lei gli rispose subito: “Si, non poter dormire abbracciati. E’ l’ultima cosa che mi hai detto… vale anche per me, ma è passato tanto tempo”. Si guardarono ancora una volta e lei si avvicinò a lui e con quello che penso sia l’amore, lo baciò sulle labbra.

Quando il signor Paride decise che la visita era giunta al termine, accompagnammo la signora verso l’uscita. Lei gli tenne la mano per tutto il tragitto, mentre lui le fece da cicerone, illustrando le varie parti degli edifici che componevano la struttura dell’istituto. Si salutarono senza lacrime e senza rimpianti, lei si congedò con un ultimo e tenero bacio. Poi si voltò e camminò verso l’uscita. Si voltò solo un ultima volta, e agitando leggermente la mano, lo salutò ancora prima di uscire.

Per il resto della giornata volle restare da solo. Penso che queste visite hanno riportato alla luce vecchi ricordi, sopiti sotto una spessa coltre di polvere accumulata negli anni. Decidere di far le pulizie rimuovendo la polvere del passato, non sempre si rivela una buona idea. Forse non era stato fortunato in amore, ma non aveva smesso un solo istante di amare. Quella sera, come facevo tutte le sere da cinque anni, lo aiutai a spogliarsi e a indossare il pigiama. Lo accompagnai al bagno per urinare e lavarsi i denti. Lo misi a letto e gli rimboccai il lenzuolo e la coperta. Prima che mi potessi allontanare, mi prese il braccio e mi disse: “Vedrai, un giorno accadrà di incontrare una ragazza che ti farà innamorare. Amala con tutto te stesso, ma non costruirle attorno una gabbia dorata, lasciala libera e… qualunque cosa accada, non smettere mai di amare”. Lo guardai per la prima volta con gli occhi di un figlio che guarda ammirato il proprio padre. Feci un cenno con la testa e dissi soltanto: “Grazie. Buon riposo signor Paride”. Sorrisi. Mi diressi verso la porta per uscire dalla stanza, e prima di farlo, mi voltai a guardare quel letto rigonfio del suo corpo stanco e la sua testa canuta appoggiata sul cuscino. Spensi la luce e uscii, chiudendo la porta alle mie spalle.

Quella notte non dormii molto bene, continuavo a voltarmi da una parte all’altra del letto alla ricerca di una posizione comoda che non trovavo. Presi sonno solo a tarda notte. Il mattino seguente alle ore 7 ero già davanti alla porta della sua stanza, pronto per una nuova giornata. Bussai prima di entrare, come facevo sempre. Restai in attesa del suo laconico “avanti”, ma non ottenni nessuna risposta. Allora entrai, chiedendo permesso e chiamandolo per nome. A quest’ora di solito lui era già sveglio, seduto sul letto in attesa del mio arrivo. Quella mattina tutto era fermo alla sera precedente. Lui stava nel letto come lo avevo lasciato. Immobile. Mi avvicinai pronunciando il suo nome, ma non ottenni risposta. Capii solo quando gli fui vicino, gli toccai la fronte: il signor Paride ci aveva lasciati. Sul suo viso un’espressione beata, con gli angoli della bocca leggermente incurvati all’insù, come un accenno di un sorriso. Mi mancherà.

(Pietro A. Racconto del 23/03/2021) Immagine da archivio personale.

Pietro

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