
La festa
La festa era già iniziata da un paio d’ore. Avevo fatto il mio ingresso dalla porta principale del palazzo, cercando di confondermi in mezzo alle altre persone. Volevo evitare di incrociare persone poco gradite, e in questo posto non era poi così difficile. Avevo finito di lavorare alle 19,30 e l’unica cosa che avrei voluto fare, era di andarmene verso il lungo Tevere, passeggiare fino al locale di Ciro, sedermi in veranda e mangiarmi una pizza. Invece, mi ero chiuso nei bagni dell’ufficio per indossare il vestito scuro, successivamente chiamato un taxi per recarmi alla solita noiosa festa organizzata dall’azienda. Ero riuscito a scovare un angolo appartato, in una delle stanze in cui si svolgeva il rituale mondano, al lato estremo di uno dei lunghi tavoli in cui erano esposte le succulente pietanze da somministrare agli illustri ospiti. Con Tony, il cameriere dietro al tavolo imbandito, ci siamo capiti subito: entrambe veniamo dalla stessa realtà di provincia, in cerca di successo nella grande capitale. Oltre ad avere un ottima visuale dalle due porte d’ingresso della stanza, avevo un’ottima disponibilità di vettovaglie.
La serata stava trascorrendo senza troppi fastidi, quando il mio capo si palesò all’improvviso alla porta. Sembrava venire diritto verso di me, come un rinoceronte quando carica infuriato. Cercai di ingoiare il boccone masticando il più in fretta possibile e senza muovere eccessivamente le mandibole – giuro che non è semplice – quando deviò alla sua destra, parlando fugacemente con qualche collega. Allo scampato pericolo, ripresi a masticare con più calma. Mi voltai per bere un sorso di champagne e, quando mi girai di nuovo, mi fu di fronte.
– Marani!
Esclamò lui con tono secco e deciso per attirare la mia attenzione. Il liquido appena ingerito mi andò di traverso, per poco non gli sputai sul suo faccione arrossato per l’agitazione per chissà quale oneroso problema. Con un rapido gesto presi un tovagliolo dal tavolo portandolo alla bocca, mentre iniziai a tossire incessantemente. Cercai di emettere qualche parola, ma non so cosa realmente riuscii a dire. Per fortuna continuò lui:
– Ha visto per caso Gritti?
Gli risposi facendo di no con la testa, mentre continuavo a tossire nel tovagliolo.
– Lo trovi e lo mandi immediatamente da me… io sono nella sala grande.
Gli risposi facendo cenno di si con la testa. Togliendo il tovagliolo dalla bocca riuscii a emettere stentatamente qualche parola a riguardo. Lui, prima di congedarsi, guardò il tovagliolo e disse:
– Bene!… e si curi quella tosse: non vede, ha sporcato di sangue il tovagliolo!
Guardai il tovagliolo sporco di rosso, ma non era il mio sangue, era imbrattato di sugo di pomodoro lasciato dalle labbra di qualcuno. Chiesi a Tony dove fosse il bagno, avevo bisogno di sciacquarmi il viso, mi indicò una porta, che per mia fortuna non era molto distante. Mi veniva da vomitare, ma cercai di non pensarci per evitare che ciò accadesse, il conseguente sapore acido in bocca mi avrebbe rovinato il palato. Aprii il rubinetto dell’acqua fredda, mi riempii la mano di sapone liquido e iniziai a strofinarmi con vigore il muso. Stavo asciugandomi il viso, quando sentii dei rumori inequivocabili provenire dalla stanza a fianco. Trattandosi di un vecchio palazzo storico, il bagno aveva una stanza separata dove c’erano i servizi igienici e un’altra dove c’era la stanza da bagno. Restai in silenzio ad ascoltare. Poi, mi avvicinai alla porta da cui provenivano i rumori. Ero tentato di aprirla lentamente per curiosare chi fosse al suo interno, ma avevo il timore di essere scoperto. Avrei potuto bussare chiedendo se lì dentro ci fosse Gritti, ero stato incaricato dal capo del resto. Diventava un problema serio se ci fosse un alto dirigente o un onorevole, visto che qualche politico viene sempre invitato dalla società a queste feste. Stavo per rinunciare, ritornando sui miei passi, quando sentii pronunciare delle parole con un tono di voce a me molto familiare. Mi bloccai di colpo, un sorriso perfido e maligno si disegnò sul mio viso – lo vedevo chiaramente attraverso lo specchio appeso alla parete. Ritornai indietro e, bussando con vigore alla porta, dissi:
– Gritti! Il capo ti cerca, ti aspetta di là nella sala grande!…ed è molto incazzato!
Piombò il silenzio nel bagno. Immaginavo il panico negli occhi dei due amanti. Speravo di essere stato preciso come un chirurgo nel mio intervento, interrompendo il loro idillio all’apice del godimento. Mi sentivo soddisfatto di aver aiutato il mio capo e di aver fatto un dispetto a un essere spregevole come il Gritti. Un arrivista della peggiore specie, capace di fare qualsiasi cosa pur di fare carriera. Era arrivato nella nostra società su prezioso consiglio di un politico, di cui non si è mai capito chi fosse. Aveva iniziato come un normale impiegato commerciale, passando dal mercato interno a quello estero in pochi mesi, diventando Area Manager e infine Senior Manager, in meno di due anni. Io, per la mia posizione, ci ho messo più di dieci anni, e sono anche laureato, lui no. Se non avesse causato danni collaterali ad altri miei colleghi, non sarei così adirato nei suoi confronti. Per uno che va avanti, altri devono cedere il passo, pur avendone merito e capacità. Ritornai al mio posto, vicino il tavolo. Brindai da solo al mio piccolo successo, e attesi che i due amanti uscissero fuori dal bagno. La mia curiosità era nei confronti della concubina: chissà chi è? Il primo ad uscire fu lui: uscì dal bagno guardandosi attorno con sospetto, forse nel tentativo di capire chi gli avesse scoperti. Mi passò vicino senza degnarmi di uno sguardo, forse nell’eccitazione non riconobbe la mia voce. Dopo qualche minuto uscì lei. Restai molto sorpreso, anche se da lui c’era da aspettarsi di tutto, non pensavo che riuscisse ad arrivare così in alto. Cercando di essere disinvolta e rilassata – e su scarpe con tacco 15 non è facile – avanzò lentamente verso il tavolo. Chiese un gin tonic, ma con più gin che tonic. Quando mi passò vicino, sfoggiai il mio miglior sorriso e le porsi i miei saluti, facendole i complimenti per il vestito e le vertiginose scarpe. Lei mi guardò, come se gli ricordassi qualcosa, mi aveva già visto altre volte, ma non avevamo avuto modo di parlare e non conosceva nemmeno il mio nome. In meno di un secondo qualcosa cambiò nel suo sguardo, capì che ero stato io a bussare alla porta della sala da bagno. Da quell’attimo di sconcerto, passò ad uno sguardo incuriosito. Si avvicinò a me, mi porse la sua mano, e si presentò:
– Maria Letizia Rotherwall.
Un po’ impacciato per non averlo mai fatto prima e, soprattutto perché non sapevo cosa ci avesse fatto fino ad un minuto fa con quella mano, la presi con coraggio e la avvicinai alla bocca, senza appoggiarci le labbra, come si conviene nel baciamano. Del resto lei era la figlia maggiore del presidente della società: 27anni, sposata, divorziata, due figli che vivevano in Svizzera insieme a lei, ma lei era sempre in giro per il mondo, ufficialmente per affari, in realtà si diceva che se la spassasse parecchio. Si congedò da me, doveva raggiungere il mio capo e suo padre sul palco per un annuncio: Gritti, a soli 34 anni, sarebbe diventato il direttore generale della sede di New York. A volte bastano poche e semplici capacità per fare carriera: la Conoscenza non serve, ma servono le giuste conoscenze.
(Racconto del 15/02/2014)
Commenti recenti